Non è un Paese per mamme
Non è un Paese per mamme. In Italia è sempre più difficile per le donne che lavorano bilanciare la professione con la gestione della famiglia. La ricerca di Save the Children.
Non è un Paese per mamme. In Italia è sempre più difficile per le donne che lavorano bilanciare la professione con la gestione della famiglia.
Il rapporto di Save the Children le chiama “le equilibriste”: ecco la maternità in Italia.
Lo studio contiene un focus con la classifica, elaborato dall’Istat per Save the Children, delle regioni italiane dove è più o meno facile avere figli.
Le Province autonome di Bolzano e Trento sul podio e la Campania fanalino di coda.
Attraverso 11 indicatori, si analizza la condizione delle madri rispetto a tre diverse dimensioni, la cura della famiglia, il lavoro femminile e i servizi offerti sul territorio. Su quest’ultimo fronte è il Lazio a cavarsela peggio. Il rapporto finisce per evidenziare anche i principali mutamenti che hanno interessato la condizione delle madri dal 2004 ad oggi.
È inammissibile che in un Paese dove il numero di nuovi nati è in costante diminuzione, si riservi così poca attenzione alla maternità e che le mamme debbano affrontare in solitudine continui ostacoli legati alla cura dei figli così come alla conciliazione della vita familiare e professionale.
Le donne decidono di mettere su famiglia sempre più tardi (l’Italia è in vetta alla classifica europea per l’età al primo parto con una media di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle mamme tra i 25 e i 49 è inattiva). Tra le cause la consapevolezza di una scarsa o inesistente rete per la prima infanzia e poco sostegno per le donne che decidono di diventare madri.
La denatalità ha toccato un nuovo record, registrando la nona diminuzione consecutiva dal 2008: le mamme italiane hanno pochi figli, con un numero medio per donna pari a 1,34, che torna ai livelli del 2004. Un dato negativo che si accompagna a quello sul tasso di disoccupazione delle madri, tra i più alti in Europa, dovuto a discriminazioni radicate nel mondo del lavoro, forte squilibrio nei carichi familiari tra madri e padri e poche possibilità di conciliare gli impegni domestici con il lavoro, a partire dalla scarsissima offerta di servizi educativi per l’infanzia.
Le condizioni delle mamme, però, non sono affatto uguali da Nord a Sud.
Sempre più virtuose, a parte poche eccezioni, le regioni settentrionali, mentre nel Mezzogiorno sono troppo spesso carenti di servizi. La ricerca sottolinea un peggioramento generale dell’Italia per quanto riguarda l’accoglienza dei nuovi nati e il sostegno alle loro mamme. Le Province autonome di Bolzano e Trento sono rispettivamente al primo e secondo posto seguite da Valle D’Aosta (3° posto), Emilia-Romagna (4°), Friuli-Venezia Giulia (5°) e Piemonte (6°).
Bolzano e Trento non solo conservano negli anni il primato, ma registrano miglioramenti.
Tra le regioni del Sud la maglia nera spetta alla Campania, che perde due posizioni rispetto al 2008, preceduta da Sicilia (20° posto), Calabria (che pur attestandosi al 19° posto guadagna due posizioni rispetto al 2008), Puglia (18°) e Basilicata (17°).
Il divario tra Nord e Sud è evidenziato proprio nelle tre singole aree di indicatori prese in esame per ciascuna regione: cura, lavoro e servizi per l’infanzia. La prima area, quella della cura, mostra discreti miglioramenti per tutte le regioni almeno fino al 2012 con il primato, anche in questo caso, delle Province autonome di Trento e Bolzano seguite da Lombardia (3° posto), Piemonte (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto (6°). Dopo il 2008, tutte le regioni hanno risentito dell’abbassamento del tasso di fecondità registrato in Italia.
Il numero medio di figli per donna torna ai livelli del 2004, dopo aver raggiunto il suo massimo di 1,46 figli nel 2009. Un dato positivo, però, c’è: dal 2012 è migliorato in modo significativo l’equilibrio del tempo dedicato alla cura della famiglia da parte di entrambi i partner. L’indice di asimmetria del lavoro familiare per la prima volta scende sotto il 70%, evidenziando un significativo progresso di carattere culturale nella parità tra uomini e donne, soprattutto nelle coppie più giovani.
La seconda area riguarda il lavoro femminile. Anche qui le Province autonome di Trento e Bolzano si confermano al primo e al secondo posto, seguite da Valle d’Aosta (3° posto), Lombardia (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto che passa dall’8° posto nel 2012 al 6°. La Sicilia fanalino di coda è preceduta da Campania (20° posto), Calabria (19°), Puglia (18°) e Basilicata (17°). Tra il 2004 e il 2017, i dati evidenziano un netto peggioramento per la stragrande maggioranza delle regioni.
Dopo un periodo di crescita registrata fino al 2008 si può infatti vedere, in termini di caduta dell’indice, tra il 2008 e il 2012 l’impatto iniziale della crisi cui segue l’ulteriore forte recessione tra il 2012 e il 2017. Circa un terzo delle donne che non ha mai lavorato e neanche tenta di trovare un lavoro è costituito da mamme, e tra i motivi più frequenti dell’impossibilità di una ricerca di un impiego vi sono quelli familiari.
L’ultima area, quella che riguarda i servizi, permette di esaminare la competitività territoriale delle nostre regioni rispetto ai principali servizi educativi per l’infanzia. Ancora una volta, la provincia di Trento si attesta al primo posto, seconda la Valle d’Aosta seguite da Friuli-Venezia Giulia (3° posto), Toscana (4°), Marche (5°). Per quanto riguarda i servizi, è il Lazio che si attesta all’ultimo posto preceduto da Sicilia (20°posto), Calabria (19°), Campania (18°) e Basilicata (17°).
I bambini sotto i tre anni accolti in servizi comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud. Il divario fra il Mezzogiorno e il resto del Paese è enorme: nel Nord-Est e nel Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il 30% dei bambini sotto i 3 anni, al Nord-Ovest il 27% mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti.
Riporto di seguito una lettera di una mamma equilibrista, una mamma come tante altre:
“Essere mamma è oggi più che mai un lavoro difficile. Viviamo in una società che non è a misura di madre, dove ancora succede di perdere il lavoro quando si mette al mondo un figlio. Oggi le mamme sono stanche e spesso non hanno né il tempo né il diritto di lamentarsi.”
Stanche, stanchissime. Senza mai un minuto di tregua. A fronte di chi riesce a ritagliare un piccolo spazio per se, con dietro ore e ore di organizzazione, c’è chi invece si dedica esclusivamente alla famiglia, ai figli, sia per necessità che per amore di farlo.
Le mamme che lavorano non hanno il diritto di essere stanche
Le mamme che lavorano finiscono per avere sulle loro spalle il peso di ogni cosa: la cura dei figli, la gestione e l’organizzazione del loro tempo, la casa, l’alimentazione della famiglia. Per quanto un padre possa essere presente, il ruolo principale continua a essere quello della madre.
A volte non si può delegare, non si può chiedere aiuto perché materialmente i genitori sono lontani, anziani o lavoratori. Altre, se si lavora, una volta tornate a casa l’unico pensiero è quello di dedicare il proprio tempo ai figli, giocando, leggendo, cucinando insieme a loro. Un momento prezioso, uno dei più attesi della giornata.
Al lavoro, spesso, quando si diventa mamme sembra che le aspettative nei nostri confronti aumentino. E in fondo, è dura per una madre il rientro dopo appena 3 mesi dalla nascita del proprio figlio. Oggi la legge offre addirittura la possibilità di rimanere al lavoro fino alla fine della gravidanza. Si tratta di una scelta che una donna può decidere o meno di prendere, ma ciò dimostra ancora una volta la scarsa importanza data a un momento così delicato.
Le mamme che non lavorano vivono in conflitto.
C’è chi sceglie di non lavorare, di dedicare tutto il proprio tempo ai figli perché pensa che non ci sia nulla di più bello. Una decisione nobile e da rispettare, anche se spesso criticata. Talvolta è lo stesso coniuge o compagno a non capire l’importanza di questa scelta, non un sacrificio per la mamma ma un cambio di vita spinto dall’amore per i propri bambini.
Non illudiamoci. Anche una mamma a tempo pieno non ha mai tempo per se. Tutte le sue attenzioni sono assorbite dagli impegni dei figli, dalla loro cura. Le loro esigenze diventano le nostre, spesso dimenticando il nostro essere donna prima ancora dell’essere madre.
Tra le mamme che non lavorano però ci sono anche quelle che non hanno avuto la fortuna di scegliere ma che sono state letteralmente scaricate una volta accertata la gravidanza o dopo la nascita di un figlio. Mamme, donne a cui è stato il loro diritto a essere lavoratrici, a contribuire economicamente al fabbisogno della famiglia. Mamme che si sentono un peso, inutili, che non riescono ad accettare il fatto di non avere alcuna colpa.
Da una parte soffriamo del fatto di non riuscire a ritagliare un po’ di tempo per noi. Dall’altra, questo pensiero acuisce i sensi di colpa verso i figli, che per noi non sono e non saranno mai un peso.
Impariamo a esternare il nostro malessere, i nostri sentimenti, non per lamentarci ma per sfogarci e cercare di trovare il modo di risalire la china.
A volte basta poco: un pasto pronto, un aiuto in più in casa, ma anche una bella dormita o una serata con le amiche. Serve anche meno: un’ora dedicata a noi, a leggere un libro sul divano o ad assaporare il silenzio.
Iniziamo a guardarci dentro, non abituiamoci alla stanchezza, impariamo ad amarci per poter amare al meglio chi ci circonda. Vedo tante mamme che lasciano il lavoro. Alcune si reinventano, alcune invece stanno semplicemente a casa. Non è una scelta giudicabile, ma è una scelta che per me sa di sconfitta. Ci siamo battute abbastanza per avere più diritti? O forse abbiamo chinato il capo, come facciamo sempre, prima accettando stage gratuiti, poi contratti a termine senza termine, poi orari impossibili, poi demansionamenti discutibili e, infine, di abbandonare il lavoro perché non ce la facevamo più?
In Francia le donne non hanno tutto il peso della famiglia, e questo è un bene. Ma a che prezzo? Che si sono trasformate in uomini. Lavorano tanto quanto loro, perché era l’unico modo per dimostrare che valiamo tanto quanto il sesso maschile. Ma i figli vedono più la tata dei genitori, quindi che vittoria è?
Ho sempre pensato che i bambini stiano bene se la mamma è serena, e ne sono tuttora convinta. Ho sempre pensato che i bambini stiano bene vivendo la vita che sono abituati a vivere, ma adesso ne sono convinta solo in parte.
Quando sono neonati, hanno bisogno di cure primordiali: coccole, cibo, sonno, pulizia. Quando crescono, sviluppano tutta una serie di bisogni che vanno al di là della semplice cura e hanno bisogno dei genitori e di genitori presenti. Una mamma non può lavorare a tempo pien(issim)o. E nemmeno un papà. Non è giusto, perché l’infanzia dei nostri figli non ce la renderà nessuno. Perché non dovremmo stare tutti a casa, ma avere più flessibilità per potersi prendere un pomeriggio per la recita o solo per andare al parco senza sensi di colpa, perché dovremmo uscire tutti ad un orario umano, non più tardi delle 17, per poter stare tutti insieme, mogli e mariti che non si parlano più, bambini che diventano sconosciuti ai genitori, ore che si perdono a fare riunioni inutili o a “farsi vedere” perché se vai via presto non sta bene.
Lo Stato dovrebbe imporre alle aziende di privilegiare sempre la famiglia perché la famiglia fa parte dell’essere umano e dovrebbe essere il luogo da cui trae maggior soddisfazione.
Perché un genitore non è meno valido perché ama passare tempo con i figli, anzi!
Una mamma non è un dipendente meno performante, anzi, è tutto il contrario. Quando lo capiranno? Quando capiranno che anche i padri devono far parte della vita dei loro figli, che non è giusto che il part time sia cosa da femmine (quando concesso)? E perché ancora gli uomini non si fanno tutti gli scrupoli che ci facciamo noi donne?
Per maggiori informazioni:
https://initalia.virgilio.it/italia-difficile-fare-mamma-save-the-children-italia-maternita-pesano-disoccupazione-scarsi-servizi-21052
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