Adolescenza e ideali
Proponiamo una Relazione dello Psicanalista Sergio Premoli, tenuta al corso di formazione organizzato da Progettazione sui temi del disagio in Adolescenza.
L’autore: Sergio Premoli, psicoanalista, già Docente di “Gestione delle risorse umane” e di “Psicologia dello sviluppo” nel Corso di Laurea in Servizio Sociale dell’Università Bicocca di Milano.
E’ autore del testo “Il soggetto in divenire”, Ed. Libreria Cortina, Milano, nel quale sono espressi in forma più approfondita i temi trattati in questo intervento.
ADOLESCENZA E IDEALI: rapporto del soggetto con gli ideali e le illusioni.
Uno dei luoghi comuni più radicati è quello che vede l’adolescenza come “l’età degli ideali”. Per gli adulti, questo stereotipo si coniuga “in positivo” attraverso un’educazione pianificata dell’adolescente al cosiddetto “mondo dei valori” e, “in negativo”, attraverso la denuncia del disagio giovanile come effetto di una mancanza di sensibilità ai valori ideali a carico delle nuove generazioni.
La questione è talmente delicata e complessa che si sarebbe tentati di rimandarla a una trattazione più ampia e adeguata.
È anche vero però che qualcosa si deve tentare di dire a questo punto del nostro discorso, nella speranza di non travisarne il senso a motivo della brevità. Partiamo dicendo che il senso comune contiene, come sempre, qualcosa di vero: è vero che l’adolescente si appassiona agli ideali, e che può mostrare di soffrire in rapporto agli stessi.
Dove però il senso comune sbaglia è nella conclusione: l’adolescente, quando soffre, non soffre “per un difetto” ma “per un eccesso” di ideali.
Lasciamo in sospeso questa affermazione per riprenderla alla fine di una piccola digressione.
Nella psicanalisi il riferimento all’ideale compare sia in direzione dell’Io-ideale che in quella dell’ideale dell’Io o Super-io.
Il riferimento all’Ideale come istanza psichica, cioè il Super-io, è da completare con il riferimento all’Io-ideale che è il nucleo originario delI’Io narcisistico pre-edipico.
L’ideale è infatti a sua volta una istanza psichica, più precoce, di natura essenzialmente immaginaria, come ha mostrato Lacan, e contrassegnato dai caratteri della perfezione e dell’onnipotenza infantile. L’Ideale dell’Io è invece un’istanza successiva, di natura simbolica – in quanto è costituito dall’interiorizzazione dell’influenza critica dei genitori (la Legge) che ha raggiunto il soggetto tramite il linguaggio – e funziona come “regolatore” dell’Io promuovendo in questo la rimozione di tutto quello che non sarà conforme alle richieste dell’Ideale. Scrive Freud (1914): “Lo sviluppo dell’Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario e dà luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo. Questo allontanamento si effettua per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell’Io imposto dall’esterno, e il soddisfacimento è ottenuto grazie al raggiungimento di questo ideale.”
Ora, le maggiori richieste “ideali” che il Super-io avanza verso l’Io riguardano l’inibizione delle spinte aggressive e distruttive verso gli oggetti esterni, cioè verso le altre persone (vedi l’espressione sintetica di tali richieste contenuta nel comandamento “centrale”: “non uccidere; ama il prossimo tuo”). La psicoanalisi rivela però per la prima volta che l’effetto di questa regolazione è sorprendente e va nella direzione opposta a quella che normalmente si crede: “È rimarchevole il fatto che l’uomo, quanto più limita la propria aggressività verso l’esterno, tanto più diventa rigoroso, ossia aggressivo, nel proprio Ideale dell’Io. Dovrebbe essere l’opposto secondo le valutazioni del senso comune, che ravvisa nelle esigenze dell’Ideale dell’Io il motivo per reprimere l’aggressività. Eppure le cose stanno come le abbiamo ora enunciate: quanto più un uomo padroneggia la propria aggressività, tanto più si accentua l’inclinazione aggressiva del suo ideale contro il suo stesso Io. È come se si verificasse uno spostamento, un volgersi contro il proprio Io. Perfino la morale comune, normale, ha caratteri rigidamente limitativi, e di proibizione spietata”.
La conclusione sorprendente è quindi questa: il “caricamento” degli ideali (usiamo questa espressione a suo modo significativa) è potenzialmente patogeno, cioè capace di produrre sofferenza psichica all’Io. La posizione della psicoanalisi è quindi opposta a quella della morale comune: mentre questa tende ad aumentare il “carico ideale” nella convinzione che esso sia fonte di benessere per il soggetto e la società, la psicoanalisi lavora invece nella direzione di un'”economia dell’ideale” e non di una sua proliferazione. Per fare questo essa lavora soprattutto a chiarire la differenza esistente tra ideale e “illusione” nella convinzione che l’effetto patogeno sta proprio qui: nello scambiare a livello individuale e sociale, illusioni con ideali. Cos’è che definisce un’illusione per Freud? “Diciamo che una credenza è un’illusione qualora nella sua motivazione prevalga l’appagamento di desiderio, a prescindere perciò dal suo rapporto con la realtà, e rinunciando alla propria convalida”.
Ora, l’umanità nel suo cammino storico e l’uomo nella sua vicenda di vita individuale, non possono fare a meno di nutrirsi, in modo più o meno accentuato, di illusioni travestite da ideali, con la funzione di ottenere la soddisfazione di desideri infantili frustrati.
Tra le illusioni Freud pone anche la religione (si veda in proposito la lunga riflessione dedicatagli nello scritto del 1927: “L’avvenire di un’illusione”), ma anche la maggior parte dei contenuti della morale sociale che trasforma in “valore ideale” qualcosa che in realtà è dell’ordine di un semplice vademecum di comportamenti necessari per una regolare convivenza tra gli uomini. Si pensi in particolare a tutte le norme ideali, anche di marca laica, riguardanti l’amore del prossimo, sotto le quali vengono mascherate numerose forme negate di aggressività o, comunque, di interesse personale: l’amore per il prossimo non essendo in origine che rivalità fraterna, e il prendersi cura dell’altro non essendo, in fondo, che un modo di prendersi cura di sé. Scrive tra l’altro Freud (1932): “Riconoscere una pulsione aggressiva e includerla nella costituzione umana sembra un sacrilegio, contrasta con molti presupposti religiosi e con molte convenzioni sociali. No, l’uomo dev’essere per natura buono o quanto meno bonario. Se, all’occasione, si mostra brutale, violento, crudele, si tratta di turbamenti transitori della sua vita emotiva, in maggior parte provocati, forse solo conseguenza degli ordinamenti sociali inadeguati che gli si è dato fino a quel momento. […] La fede nella “bontà” dell’umana natura è una di quelle illusioni da cui gli uomini si aspettano che la loro vita risulti abbellita e alleviata, mentre in realtà non provocano che danni,”.
Pensiamo che, in relazione a quanto stiamo dicendo, si possano mettere qui alcune riflessioni sul complesso fenomeno che va sotto l’etichetta convenzionale di volontariato. Lasciando ovviamente da parte tutti gli aspetti sociali del fenomeno, in primis quelli relativi al fatto che una serie di servizi che dovrebbero essere garantiti da un intervento pubblico sono lasciati alla mercé dell’iniziativa volontaria, rimangono aperti degli interrogativi sugli aspetti soggettivi implicati in questo tipo di esperienza. Tali interrogativi sarebbero in un certo senso superflui se fosse di per sé chiaro da che parte stanno i costi e i ricavi, se fosse cioè dimostrato che tutti i costi stanno dalla parte di chi presta l’aiuto e tutti i ricavi sono invece a favore di chi ne beneficia. Di fatto non è affatto provato che le cose stiano così e non è infrequente verificare che le quote si distribuiscono equamente a metà tra i due soggetti della relazione. Molto spesso si dà addirittura il fatto che, sotto l’apparenza contraria, i costi maggiori sono complessivamente a carico del destinatario della relazione di aiuto, che finisce per essere sfruttato nel suo bisogno, soprattutto quando tale bisogno è di natura psichica, come può essere il caso di minori in difficoltà, di tossicodipendenti o di soggetti con gravi disturbi psichici.
La “gratuità” economica dell’intervento può così coprire spesso forme di vero e proprio parassitismo dei bisogni psichici di chi è in difficoltà. Le relazioni di volontariato, caratterizzate esclusivamente da affermate valenze ideali con l’esclusione di gratificazioni di natura economica, possono diventare il campo privilegiato per la soddisfazione di componenti perverse mascherate, fino a situazioni limite caratterizzabili come veri e propri casi di “assassinio dell’anima”, per usare un’espressione cara al presidente Schreber di freudiana memoria. Se ne accenniamo a questo punto del nostro percorso, è perché molti adulti sfruttano in questo senso il bisogno di valori ideali degli adolescenti e dei giovani, spingendoli verso esperienze di impegno nel campo sociale o umanitario come palliativo finalizzato a produrre magicamente la soluzione dei problemi dell’adolescenza. Lo slogan più utilizzato è infatti quello che fa credere all’adolescente che, occupandosi dei problemi degli altri, egli arriverà alla soluzione dei propri. Questo non esclude ovviamente la possibilità che un’esperienza di questo tipo possa risultare utile a un adolescente nella misura in cui venga aiutato a capire la funzione che essa può assumere all’interno di un proprio progetto di lavoro psichico, evitando di scambiare i propri con i bisogni degli altri per sfuggire alla faticosa elaborazione di certi conflitti, specialmente quelli relativi al rapporto con l’altro sesso. Ritornando ora più specificamente all’adolescente, rimane da chiedersi il perché egli sia così sensibile alla questione degli ideali, sotto qualunque forma gli vengano presentati. Il motivo principale è di natura strutturale: con la ripresa puberale, la rinnovata spinta pulsionale costringe in un certo senso l’istanza mediatrice dell’Io a mettere in atto una serie di strategie volte a garantirgli la possibilità di ricostruire su basi nuove la propria identità, minacciata essenzialmente dai cambiamenti intervenuti nel proprio corpo e nel proprio assetto pulsionale. In questo momento l’Io si serve del riferimento al proprio ideale come di una stella cometa per orientarsi nel buio della notte. Inoltre, di fronte al primo serio impatto del soggetto con le richieste avanzategli da ogni dove, in direzione di una limitazione delle sue modalità infantili di soddisfazione e di un’assunzione di responsabilità da adulto, in altre parole di fronte alla riproposta della ferita narcisistica rappresentata dalla castrazione, l’adolescente non esita a riprendere il proprio Io ideale narcisistico per travasarlo con tutte le sue qualità nell’Ideale dell’Io che egli proietta davanti a sé come proprio ideale, dopo averlo conformato alle richieste provenienti dall’esterno.
Questa operazione, se è in grado di produrre una momentanea gratificazione narcisistica, finisce però per rivolgersi contro l’Io che si trova schiacciato da un Super-io sempre più appesantito ed esigente. Quello che si diceva più sopra del fatto che l’adolescente soffre di un “eccesso” di ideale, adesso possiamo specificarlo: soffre di un eccesso di illusioni scambiate per ideali. C’è da dire che, in questo, l’adulto in genere non l’aiuta se non nel senso di un appesantimento del suo fardello, confermando la verità della massima evangelica: “Ipocriti! che imponete agli altri i fardelli che voi non siete in grado di portare!”. Dal nostro punto di vista, la questione sostanzialmente non cambia anche nel caso in cui uno addossi agli altri i fardelli che porta con fatica sulle proprie spalle. All’ombra del paravento costituito dall’educazione (culturale, morale, civica, religiosa) l’adulto non riesce a sottrarsi alla tentazione di parassitare il bisogno di ideale dell’adolescente e, invece di aiutarlo in un lavoro di “ridimensionamento” e di “disillusionamento”, lo affianca tentando spesso di spingerlo verso una vera e propria abbuffata di ideali. A volte, se ci riesce, l’adolescente si sottrae finendo magari per essere accusato di “insensibilità morale e ideale”. Per concludere, richiamando la distinzione avanzata più sopra tra ideale e illusione, possiamo dire che l’alternativa non è semplicemente quella di essere pro o contro gli ideali, ma è quella di essere a favore del “grano” degli ideali ma dopo averlo epurato dal “loglio” delle illusioni. Per quanto è stato di pertinenza del nostro discorso, questo lavoro è stato fatto ad esempio quando abbiamo denunciato all’inizio l’aspetto “illusorio” legato al concetto di maturità psichica. Per il resto, è un lavoro tutto da fare anche se qui basta averne segnalata la necessità.
Chi lavora in questo senso potrà però difficilmente sfuggire all’accusa rivolta alla psicoanalisi e registrata da Freud: “Poiché provochiamo il crollo delle illusioni, ci si rimprovera di mettere in pericolo gli ideali”.
Scritto tratto dal testo: Il soggetto in divenire, Edizioni Libreria Cortina, Milano 2002, pp.244-249.
Per maggiori info:
http://www.formazionesocialeclinica.it/wp-content/uploads/2013/11/Contributo-Premoli-ADO.-E-IDEALI.pdf
http://www.formazionesocialeclinica.it/relazioni-dei-corsi/