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È tempo di mandare in soffitta il termine “NO PROFIT”?

È tempo di mandare in soffitta il termine “NO PROFIT”?

Comincia ad attivarsi sulle piattaforme social, un dibattito che ci interessa. Riguarda il termine no profit.
Ha ancora senso? Definisce correttamente un’attività e un business?
E poi, quanto è abusato?

Il termine “no profit” è una delle poche locuzioni che, internazionalmente, caratterizza più che un’attività, un modo di intendere e fare “Business”.

Negli Stati Uniti come in Europa, un’Organizzazione o una Società “no profit” si distingue per azioni, attività e valori che non vengono ricondotte al lucro individuale.

L’altra parte del cosiddetto “Mercato” che regge la strutturazione attuale della nostra società, è composta invece da Organizzazioni e Aziende che hanno come principale scopo, produrre reddito e massimizzare risorse economiche da distribuire individualmente.

Ma la realtà non ci consegna una separazione così netta.

Il “Mercato” e la Struttura organizzativa della società capitalistica, ci ha portato ad avere l’1 per cento della popolazione mondiale che possiede più di quanto possieda il restante 99 per cento, con un divario che si sta allargando. E, restando in Italia, il 20% della popolazione possiede il 70 % della ricchezza complessiva della nazione. Un modo di intendere e fare “Business” che, evidentemente, non funziona e, probabilmente, non reggerà a lungo.
Ma non funziona nemmeno troppo bene che organizzazioni a tutti gli effetti definite “no profit” perseguano, in maniera lecita e in modo più o meno eclatante, scopo di arricchimento eccessivo.

Spesso non personale, ma certamente, realizzando azioni di accumulo della ricchezza. Con eccezioni significative di profitto fraudolento che contribuisce in maniera decisiva a screditare il temine “no profit”.

Da qui si muove il dibattito: ancora per quanto un’Organizzazione “profit” potrà continuare ad ignorare il “bene comune”?

E per quanto tempo ancora una “no profit” potrà continuare a fingere di ignorare che per perseguire scopi lodevoli, meritori e “sociali”, occorre necessariamente confrontarsi tutti gli effetti con il ”mercato”?  E poi il termine “profit” non ha bisogno di una rivalutazione che lo faccia uscire dalla sudditanza del “no profit”?

E ancora: rivedere il temine “no profit” può servire a rendere più difficile la vita a chi mescola le carte, utilizzando il termine per lucro individuale, più o meno fraudolento?

Il dibattito è già sui social, quindi è aperto……

No profit

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