Quanta tecnologia digitale per i nostri figli? Scrivere a mano è importante, ecco il perché?
Quanta tecnologia digitale per i nostri figli? Quanto utilizzare smartphone e tablet?
Ci stiamo dimenticando di come si scrive a mano? La tecnologia ci farà diventare nuovi analfabeti? Il tema si inserisce nelle ricerche di risposte sulla domanda che da tempo ci facciamo: quanta tecnologia digitale per i nostri figli?
Dalla relazione di Marco Dallari, pedagogista e Sandro Feller, neurologo, in un evento promosso dalla Biblioteca civica e dal Mart – Area Educazione, il 25 Maggio 2017
Leggere e scrivere su diversi supporti e con strumenti elettronici o manuali comporta significative differenze relative a capacità di apprendimento e modalità di utilizzo delle funzioni cognitive.
Facendo ricorso all’intelligenza delle mani cambiano anche l’esperienza e il modo di memorizzare ed è noto che il linguaggio non verbale, ma anche quello simbolico verbale, deriva dal gesto e quindi da atto motorio. Rinunciare a scrivere è come usare una protesi per camminare pur potendolo fare; si rischia rischiando un atrofia delle aree del linguaggio e della memoria.
In termini di capacità di operare nel mondo, il divario fra nativi digitali e non, è per molti aspetti a favore delle nuove generazioni, perfettamente a proprio agio con dispositivi elettronici di ogni tipo e con l’esuberante offerta di internet. In termini di scrittura, tuttavia, il dibattito è aperto e in corso in molti Paesi. Meglio assecondare l’ovvia necessità di saper digitare sulla tastiera o su uno schermo tattile, lasciando del tutto atrofizzare la scrittura a mano, o è auspicabile mantenere entrambe?
Diversi studi trasversali all’Occidente provano che una larga parte dei teenager e ormai pure i loro genitori -, non ha più padronanza del corsivo: “Ciao, vi scrivo perché io ho qualche problema con il corsivo… Scrivo proprio male… La mia prof di italiano si rifiuta di correggere il mio compito. help me…”, scriveva qualche tempo fa un ragazzo su un forum italiano.
Un grido di aiuto e una dolente dichiarazione di imbarazzo profondo, che sta per migliaia di altri, sulla rete non solo italiana.
In Germania, dove lo psicologo Manfred Spitzer nel suo studio “Demenza digitale” ha di recente messo in relazione tecnologia, effetti negativi sull’ippocampo e Alzheimer, una ricerca ha appurato che il 70% dei bambini in uscita dalla scuola materna non mostra di avere i necessari prerequisiti motori per poter affrontare l’apprendimento del corsivo.
Fra le cause: mancanza di attività fisica, carente manualità, assenza dell’esempio dei genitori, che non li aiutano a esercitarsi, e come loro usano ormai solo computer, smartphone e tablet: “Oggi non si gioca più in strada, non ci si arrampica sugli alberi, non ci si allaccia le scarpe, non si corre e salta, non si infila un ago. Si premono tasti, o si tocca uno schermo, tutte cose che richiedono l’uso di altri muscoli rispetto a quelli per tenere in mano una penna, e che non consolidano la coordinazione necessaria a scrivere in corsivo”, sostiene la pedagogista Stephanie Müller, che conclude provocatoriamente: “Se ho imparato solo a marciare, non riuscirò a imparare a ballare la salsa”.
Nel nostro paese la dispensa dal corsivo è prevista per chi abbia certificazioni di disgrafia o di altri disturbi dell’apprendimento, tuttavia nella prassi tale esonero viene di fatto esteso ad ampie fasce di bambini in età scolare, che non presentano impedimenti. Ma, avverte la docente e pedagogista Cristina Pendola: “Pensare di trattare tutti come se fossero in difficoltà, sarebbe come vietare a un bambino di camminare, perché potrebbe farsi male cadendo.” Secondo Laura Bravar, testista presso l’Ircss “Burlo Garofolo” di Trieste, “la lettura e la scrittura sono due processi neuropsicologici diversi, ma rappresentano due facce della stessa medaglia, che si sviluppano assieme, l’uno innescando l’altro e supportandosi a vicenda.”
L’appello della pedagogista Giuliana Ammannati è deciso: “Bisogna tornare a scommettere sul corsivo.
Insieme al gioco, il gesto grafico è uno strumento di formazione della personalità e in quanto comportamento espressivo, oltre che di una valenza pedagogica, l’attività grafica è portatrice di una valenza diagnostica pronta per essere utilizzata dal pedagogista clinico.”
Uno degli impulsi al dibattito europeo sull’opportunità o meno di chiedere a scolari e studenti la padronanza del corsivo, era venuto nel 2009 dagli Usa, dove 45 stati avevano aderito all’inclusione obbligatoria dell’insegnamento della digitazione su tastiera nei curricula, declassando al contempo la scrittura in corsivo a materia facoltativa.
Già un anno dopo quell’entusiastica adozione, il Wall Street Journal spezzava però una lancia a favore del corsivo. Citando studi scientifici dell’Università dell’Indiana, basati su risonanze magnetiche, e condotti su bambini con padronanza della scrittura legata e su coetanei abituati a scrivere solo alla tastiera o in stampatello, il quotidiano giungeva alla conclusione che la scrittura manuale sia in grado di attivare e favorire sia la motricità sia i processi cognitivi: “I bambini capaci di scrivere a mano, hanno fatto registrare un’attività neuronale molto più sviluppata rispetto all’altro gruppo testato, comprovando l’importanza della produzione manuale di segni bidimensionali”, era stata la conclusione di Karin Harman James, professore di psicologia e neuroscienze all’Indiana University, che aveva condotto la ricerca. Il Wall Street Journal citava anche Virginia Berninger, professoressa di psicologia dell’Università di Washington: “In termini di costruzione del pensiero e delle idee, c’è un rapporto importante tra cervello e mano. La scrittura manuale legata accende massicciamente aree del cervello coinvolte anche nell’attività del pensiero, del linguaggio, e della memoria”.
Nell’ultimo anno, al di là dell’oceano si assiste intanto ad un’inversione di tendenza: nove stati, fra cui California e Massachusetts, hanno fatto marcia indietro e reinserito il corsivo come materia curricolare.
Per approfondimenti sul tema: Centri RicreAzione.
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